«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti» scrisse Pirandello. In effetti uomini e donne capaci di “metterci la faccia” su questioni importanti e scomode, quali la questione palestinese, ve ne sono sempre meno.
I motori della fabbrica della paura non smettono mai di funzionare ed il conformismo è il prodotto di punta di questi tempi. Politici, giornalisti, editorialisti, commentatori, opinionisti ed influencer mettono bocca su tutto. Sfogliano i giornali la mattina e decidono quale notizia commentare, su cosa prendere cautamente posizione, quale fatto sfruttare per ritagliarsi un piccolo spazio nel dibattito pubblico.
Tutto è “utilizzabile”, tranne la questione palestinese. A quella per chi preferisce carriera e carrierismo alla salvaguardia degli ultimi e della propria dignità è meglio non avvicinarsi. Per chi brama un angoletto nei salotti d’establishment schierarsi dalla parte dei palestinesi è come toccare i fili della luce. Meglio dimenticare, e alla svelta, decenni di occupazione militare straniera in Cisgiordania, meglio dimenticare quella prigione a cielo aperto che è Gaza (“La prigione più grande al mondo” per dirla alla Pappé), meglio ignorare le risoluzioni Onu mai attuate, i rapporti di Save the Children sulle condizioni di vita dei bambini palestinesi, le denunce di Amnesty International sulle politiche di apartheid promosse dal governo israeliano in Israele e nei territori occupati. Meglio voltarsi dall’altra parte per evitare quelle violentissime accuse di antisemitismo che ciclicamente colpiscono tutti coloro che hanno ancora il coraggio di schierarsi dalla parte del popolo più dimenticato del pianeta: il popolo palestinese.
Nel mondo alla rovescia non è possibile neppure criticare un’ideologia politica quale il sionismo (dottrina per molti intrisa di latente razzismo) senza esser trattati da fanatici dell’intolleranza. Nel febbraio scorso, Amnesty International, una delle organizzazioni più importanti al mondo in materia di promozione dei diritti umani, ha pubblicato un rapporto dal titolo Israel’s apartheid against: cruel system of domination and crime against humanity. Quanto se ne è parlato? Quanti pseudo-intellettuali hanno avuto il fegato di prendere posizione al riguardo?
Se al posto della parola Israele ci fosse stata la parola Russia, o Iran, o Venezuela, i “Saviano d’Italia” avrebbero commentato o meno il rapporto? Eppure nel rapporto c’è scritto nero su bianco che vi è da parte israeliana “l’intenzione a dominare ed opprimere i palestinesi”. Sono riportati casi di gravissime restrizioni alla partecipazione politica per i palestinesi, di sfratti illegali, di privazione di terra e proprietà, di “segregazione giuridica e frammentazione territoriale”, delle violenze perpetrate dai coloni sulla popolazione palestinese inerme sotto gli occhi consenzienti dei militari israeliani.
Insomma, di crimini contro l’umanità.
Il popolo palestinese non è soltanto il popolo più vituperato del pianeta, è il più dimenticato. Ai palestinesi che combattono apartheid ed occupazione neppure viene concessa la dignità che caratterizza solitamente i movimenti di resistenza. E non è resistenza quella palestinese? Non meriterebbe uguale dignità di quella ucraina?
Colore della pelle e religione determinano evidentemente la partecipazione umana e politica ai drammi altrui. Questo è razzismo allo stato puro. I sostenitori dell’invio di armi a Kiev ritengono che sia nostro dovere armare un Paese che subisce un’invasione per garantirgli la possibilità di cacciare l’invasore. Argomentazioni comprensibili. Mi domando, se l’Autorità palestinese – neppure esiste uno Stato di Palestina – chiedesse armi per cacciare via gli occupanti israeliani cosa dovremmo risponderle?
Alcuni giorni fa il Comitato speciale delle Nazioni Unite per la decolonizzazione ha votato una risoluzione che chiedeva l’intervento della Corte internazionale di giustizia rispetto a quel che avviene da decenni in Cisgiordania. Ebbene l’Italia, Paese che storicamente si è sempre astenuto quando è stato chiamato ad esprimersi sulla questione palestinese, ha votato contro unendosi a Germania e Stati Uniti. Una vergogna. Persino l’intervento della Corte internazionale di giustizia viene considerato un atto ostile dal governo israeliana che, evidentemente, necessita di immunità assoluta.
Pare che dalla Farnesina si siano giustificati in questo modo: «Il nostro voto contrario è stato determinato in particolare da un elemento: nella risoluzione si fa riferimento all’area religiosa del Monte del Tempio in una modalità che non abbiamo apprezzato».
In effetti nella risoluzione l’area del Monte del Tempio, area sacra agli ebrei, viene chiamata con il suo nome arabo al-Haram al-sharīf (il Nobile Santuario) e questo è stato utilizzato dal governo italiano come pretesto per votare contro alla mozione. Ipocrisia allo stato puro. Il Monte del Tempio o al-Haram al-sharīf è o non è un’area occupata dall’esercito israeliano? Sì, lo è. Ma evidentemente tutto questo non interessa, così come non interessano i milioni di abitanti di Gaza, uomini, donne, vecchi e bambini costretti a vivere in condizioni disumane e senza neppure il diritto di fuggire quando dal cielo piovono missili. Un unicum nella storia dell’umanità.
“Intrappolati” è il nome della ricerca pubblicata lo scorso giugno da Save The Children sui bambini che abitano nella Striscia di Gaza. Il quadro è drammatico. Quattro bambini su cinque soffrono di depressione e disturbi d’ansia e di questi, oltre la metà, ha pensato, almeno una volta, al suicidio. Per qualcuno, d’altro canto, è il solo modo per fuggire dalla realtà nella quale si è costretti a vivere. Esattamente come capita a certi detenuti che preferiscono togliersi la vita che morire dietro le sbarre.
Il punto è che i bambini di Gaza non hanno fatto nulla per meritarsi quell’ignobile trappola e ancor meno il disinteresse pressoché totale del mondo intero, il cosiddetto “mondo libero”. Libero di tacere di fronte ad una vergogna del genere. A Gaza 800.000 bambini non hanno vissuto altra condizione che il blocco. Per loro vivere in prigione è la condizione naturale. Se qualcuno di loro ci chiedesse un fucile, una granata, un lanciarazzi per aprire una breccia e fuggire dal carcere a cielo aperto noi cosa dovremmo rispondergli? Perché nessuno si azzarda a dire che vanno inviate armi agli abitanti di Gaza per permettergli di uscire dalla trappola? Perché? Perché Israele è potente e soprattutto è alleata degli USA e gli USA sono il nostro Paese occupante. Piaccia o non piaccia questa è la realtà.
L’Italia non è soltanto un Paese a sovranità limitata. È un paese in parte sotto occupazione militare straniera. Abbiamo perso la Seconda Guerra Mondiale, per questo ci sono soldati americani in Italia e non basi militari italiane in America. È nostra condizione dal 1945, tuttavia, paradossalmente, durante la “I Repubblica” l’Italia aveva un’agibilità politica impensabile oggigiorno. Sandro Pertini, da Presidente della Repubblica pronunciò queste parole durante il messaggio alla Nazione del 1983: «Una volta furono gli ebrei a conoscere la diaspora. Vennero dispersi, cacciati dal Medio Oriente, dispersi per il mondo. Adesso sono, invece, i palestinesi. Ebbene, io affermo ancora una volta che i palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria e a una terra come l’hanno avuta gli ebrei, gli israeliti». Oggi c’è chi definirebbe tali parole un messaggio anti-Israele. Qualcuno si spingerebbe addirittura a definirli concetti antisemiti. «Io sono stato nel Libano – aggiunse Pertini – e ho visto i cimiteri di Shatila e Sabra. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quel massacro orrendo. Il responsabile di quel massacro orrendo è ancora al governo, in Israele. Va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile a cui dovrebbe essere dato il bando dalla società. È stato un massacro, mi hanno detto quelli del posto, tremendo. Quante vittime ha fatto». È probabile che Pertini parlando del “responsabile del massacro orrendo ancora al governo” si riferisse ad Ariel Sharon, all’epoca delle stragi di Sabra e Shatila ministro della Difesa israeliano. Oggi quale parlamentare semplice (figuriamoci il Presidente della Repubblica) avrebbe il coraggio di esporsi in tal modo? Sono passati quasi quarant’anni da quel discorso di Pertini ed i palestinesi non hanno ancora una patria. Non hanno una loro moneta, vivono sotto occupazione e, per di più, per la maggior parte dei politici o dei giornalisti è come se non esistessero.
“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste” disse Verbal Kint/ Keyser Söze ne I soliti sospetti. Ebbene la beffa più grande che il governo israeliano ed i poteri che lo supportano sono riusciti a fare a danno degli ultimi della terra è far credere che il popolo palestinese non esiste più. Che la questione palestinese è acqua passata. Un popolo inesistente, d’altronde, è un popolo che non può soffrire, al quale è impossibile togliere terra e diritti, un popolo che nessuno potrà mai supportare, un popolo da dimenticare in fretta proprio come Shireen Abu Akleh, giornalista palestinese di Al Jazeera deliberatamente uccisa dai cecchini dell’esercito israeliano a Jenin, una delle tante città della Cisgiordania sotto occupazione militare. Abbattine una per educarne cento. L’educazione al silenzio, alla pavidità, all’ipocrisia, alla salvaguardia del proprio misero orticello. Se Shireen Abu Akleh (in pochi si sono presi la briga persino di imparare a pronunciare il suo nome) fosse stata una giornalista ucraina assassinata da un cecchino russo cosa sarebbe accaduto? E se il giorno dei suoi funerali la folla presente fosse stata malmenata da soldati e poliziotti russi cosa sarebbe successo? Scommetto che milioni di cittadini avrebbero imparato il suo nome a forza di sentirlo pronunciare in Tv. Ma lei era palestinese e documentava le violenze commesse nei territori occupati dall’esercito israeliano, l’esercito della più grande democrazia mediorientale per qualcuno. Un esercito che occupa un paese straniero che nessuno osa eppure riconosce in quanto tale. In Palestina, nella terra degli dèi che pare dimenticata da Dio l’assioma del “c’è un Paese invaso ed uno invasore” evidentemente non funziona. Questione di pelle, di religione, di latitudine o banalmente di squallida ipocrisia.